24 lug 2008

Non portatemi problemi, portatemi soluzioni!

Immagino che molti si siano trovati nell'imbarazzante situazione in cui il proprio capo pronuncia la fastidiosa ed inopportuna frase "non portatemi problemi, portatemi soluzioni!".

Generalmente ho sempre pensato che la situazione appena descritta qualificasse il capo come un facilone, incapace di cogliere il fastidio dei collaboratori che si sentono rivolgere l'infelice frase fatta.

Con il passare degli anni, però, mi sono reso conto che esiste un'interpretazione della suddetta frase che non è nè frustrante nè ridicola...
Avete presente quando, in un forum tecnico, qualche novellino pone una questione appena meno che ovvia, e si vede rispondere RTFM (read the fucked manual)?
Dopo qualche tempo passato sui forum, si apprende la sana pratica di sbattersi un poco prima di pretendere la pappa pronta, la risposta confezionata sulle nostre esigenze.
Di solito gli esperti tendono a rispondere più spesso (e molto più volentieri) a coloro che dimostrano di aver effettuato qualche ricerca, di aver almeno provato a trovare la risposta da soli.

Dunque, credo che l'interpretazione positiva della fatidica frase del titolo sia appunto questa: il boss vuole che almeno proviate a trovare una strada, e giungiate da lui non per chiedere la panacea, ma per discernere quale sia l'opzione migliore tra la manciata di scelte che avete individuato per affrontare il problema.


PS
...naturalmente quando sui forum trovate un novellino che pretende una risposta rapida e concisa al suo problema senza aver nemmeno provato a risolverselo, potete essere ragionevolmente certi che si tratta di un manager.

2 commenti:

  1. Pienamente d'accordo sull'interpretazione della frase ed anche sulle motivazioni che conducono il boss a pronunciarla. Ci sono però situazioni che ti portano a giudicare le domande del superiore "ingiustificabili". Si tratta di quelle situazioni in cui completamente digiuni dell'argomento (non solo perché non si sono preoccupati di svilupparlo ma neppure, che è peggio, di DOCUMENTARSI) hanno il coraggio (se passare per imbecille si può chiamare coraggio) di giudicare "sbagliata" la soluzione che TU, sfigato lavoratore sottopagato, tanto minuziosamente hai meditato. Carico di buone intenzioni ti preoccupi di iniziare un dibattito sulle motivazioni dell'errore per poter trovare insieme una soluzione "migliore"; e scopri che stai parlando con un emerito INCOMPETENTE in materia che ha denigrato il tuo lavoro solo perché gli è stato chiesto di ammazzare i costi e lui ,inettamente, non si preoccupa minimamente della copertura dei requisiti. Vi prego se mai farete i manager o comunque i responsabili siate sempre aperti al dialogo in modo propositivo, il gruppo ed il singolo sfigato sottopagato ne trarrà MOLTO giovamento e soddisfazione per aver imparato qualcosa di nuovo. Mi dispiace varare il blog con una nota di pessimismo ma è un periodaccio. Mi adopererò per tenere alto l’umore se se ne ripresenterà l’occasione. YHO BRO’.

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  2. Bisogna anche tenere conto che esistono tipologie di dipendenti che considerano il loro lavoro, l'esercizio della loro professione come un optional, come un qualcosa che serve solo a portare a casa i soldi. Ho sentito delle frasi in ufficio del tipo: "non sono mica matto, io non mi comprerò mai un computer da tenere a casa". Oppure: "il computer a casa non lo uso mai, ne ho già abbastanza in ufficio". Ma allora mi chiedo: "voi che pronunciate queste frasi, cari colleghi, osate anche definirvi programmatori?". Non fate altro che riempirvi la bocca con termini e cariche altisonanti del tipo: "Super mega senior consultant iper software developer". Quello che intendo io per "programmatore" è quella persona che considera la sua attività un'arte, e come tale la coltiva e tenta di eccellere nella sua preparazione e dedizione. E' una persona che quando arriva a casa la sera, massacrato da una giornata schifosa sia per il lavoro, sia per i continui insulti di responsabili deficienti (dall'etimo: deficere), non vedono l'ora di aprire a il proprio ambiente di sviluppo per continare a lavorare, magari, su qualche problematica piuttosto ostica, o semplicemente per tenersi in esercizio scrivendo piccoli programmini di utilità. Il programmatore è quella persona che vuole sapere tutto sulla storia della sua arte e quali sono stati i maestri del passato e del presente. Non per questo un programmatore deve passare la vita davanti ad un monitor, ma diciamo che un programmatore è per me come un artista che ama la sua arte un ("professionista dilettante", appunto).
    Fin quando l'industria italiana del software comprenderà figure che si definiscono programmatori perché tanto un lavoro ne vale un altro, non credo che arriverà molto lontana.

    Luca Ciciriello, Programmatore.

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